giovedì 23 settembre 2010

A un vincitore nel pallone.

Di gloria il viso e la gioconda voce,
garzon bennato, apprendi,
e quanto al femminile ozio sovrasti
la sudata virtude. Attendi attendi,
magnanimo campion (s'alla veloce
piena degli anni il tuo valor contrasti
la spoglia di tuo nome), attendi e il core
movi ad alto desio. Te l'echeggiante
arena e il circo, e te fremendo appella
ai fatti illustri il popolar favore;
te rigoglioso dell'età novella
oggi la patria cara
gli antichi esempi a rinnovar prepara.
Del barbarico sangue in Maratona
non colorò la destra
quei che gli atleti ignudi e il campo eleo,
che stupido mirò l'ardua palestra,
né la palma beata e la corona
d'emula brama il punse. E nell'Alfeo
forse le chiome polverose e i fianchi
delle cavalle vincitrici asterse
tal che le greche insegne e il greco acciaro
guidò de' Medi fuggitivi e stanchi
nelle pallide torme; onde sonaro
di sconsolato grido
l'alto sen dell'Eufrate e il servo lido.
Vano dirai quel che disserra e scote
della virtù nativa
le riposte faville? e che del fioco
spirto vital negli egri petti avviva
il caduco fervor? Le meste rote
da poi che Febo instiga, altro che gioco
son l'opre de' mortali? ed è men vano
della menzogna il vero? A noi di lieti
inganni e di felici ombre soccorse
natura stessa: e là dove l'insano
costume ai forti errori esca non porse,
negli ozi oscuri e nudi
mutò la gente i gloriosi studi.
Tempo forse verrà ch'alle ruine
delle italiche moli
insultino gli armenti, e che l'aratro
sentano i sette colli; e pochi Soli
forse fien volti, e le città latine
abiterà la cauta volpe, e l'atro
bosco mormorerà fra le alte mura;
se la funesta delle patrie cose
obblivion dalle perverse menti
non isgombrano i fati, e la matura
clade non torce dalle abbiette genti
il ciel fatto cortese
dal rimembrar delle passate imprese.
Alla patria infelice, o buon garzone,
Sopravviver ti doglia.
Chiaro per lei stato saresti allora
che del serto fulgea, di ch'ella è spoglia,
nostra colpa e fatal. Passò stagione;
che nullo di tal madre oggi s'onora:
ma per te stesso al polo ergi la mente.
nostra vita a che val? solo a spregiarla:
beata allor che ne' perigli avvolta,
se stessa obblia, né delle putri e lente
ore il danno misura e il flutto ascolta;
beata allor che il piede
spinto al varco leteo, più grata riede.
(Giacomo Leopardi 19° secolo)

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